15 settembre 2008

Capre a Capraia

Periodo: 19/05/07
Fonte: la mia moleskine

Siamo arrivati poco prima del tramonto al vecchio edificio senza finestre, bianco sbiadito e un po' sdentato. Abbiamo appoggiato gli zaini e ci siamo guardati intorno, nel silenzio. Siamo arrivati nell'ora della sera in cui l'erba si piega al vento, lì, tra le rovine della colonia penale, nella parte nord dell'isola. L'ora in cui la luce si fa tenue e la pelle diventa fresca e tesa. Indossata una felpa ci siamo fatti una cicca nel sibilo lieve del vento, con la schiena appoggiata ad un muretto.

In bocca ancora il sapore della focaccia condita con rosmarino, colto sotto la cima frastagliata del monte Penna: eravamo seduti di fronte alla visione (già così lontana - poco più che una vertigine sbiadita -) delle scogliere a picco sul mare inquieto, che si aprivano come quinte teatrali fino a intersecare la linea blu dell'orizzonte e i pianori verdi.

Finita la sigaretta e prima che il sole scendesse siamo entrati e ci siamo acquartierati in una stanza vuota del primo piano. Muri candidi e pavimenti ricoperti di polvere di intonaco. Abbiamo steso le stuoie e i sacchi a pelo, disposto il cibo nel mezzo, e acceso una candela. Abbiamo consumato così la nostra solita cena frugale, a base di scatolette di legumi e pane leggermente stantio. Il sole nel frattempo ha finito di compiere il suo tragitto.

[...]

Mentre stavamo per metterci a dormire abbiamo sentito un rumore provenire dalle stanze buie del pianterreno. Sembrava un grosso animale. Siamo scesi con la frontale e abbiamo cercato in tutte le stanze, ricoperte di sterco e terra, senza esito. Ad un certo punto ho aperto la porta del sottoscala e lì, colto di sorpresa e un po' spaventato, ho incontrato Bianchina.

Bianchina è una capretta che aveva trovato rifugio, come noi, nell'edificio sdentato. Le abbiamo detto di uscire, che noi avremmo sbarrato il portone d'ingresso per la notte e lei non sarebbe potuta uscire. Ma lei ci ha fatto capire, con molta calma, che non ne aveva voglia: ci ha girato le spalle, si e' diretta nell'angolo piu' nascosto e li' si e' distesa, guardandoci con un espressione del tipo "io da qui non mi muovo". Allora ci siamo divisi equamente l'edificio: lei il piano sotto (anzi, il sottoscala) e noi quello sopra.

[...]

Bianchina stamatttina è venuta a chiamarci, per uscire. Con molta delicatezza ha salito le scale e ha fatto un piccolo belato da dietro l'angolo della porta, come a svegliarci con dolcezza. Appena sono uscito dal sacco a pelo ho sentito il rumore dei suoi zoccoli che ripercorrevano le scale in senso inverso. Sono sceso con gli occhi impastati dal sonno, in mutande e scarponcini. Lei aspettava col muso che sporgeva da una delle porte che danno sul corridoio principale. Mi ha guardato spostare la trave che bloccava il portone, e ha lasciato che mi spossassi a mia volta: a quel punto e' andata verso l'uscio, si è fermata sul ciglio, ha annusato l'aria, guardato a destra e sinistra, e lanciato un richiamo alle altre prima di uscire.

L'ho seguita fuori, nella luce dell'alba. Abbiamo pisciato assieme poi ci siamo voltati e siamo andati ognuno per la propria strada, lei a cercare le altre, io a ritrovare il caldo tepore del mio giaciglio.

1 commento:

Anonimo ha detto...

(grazie)